Onorevoli Colleghi! - La situazione del nostro sistema penitenziario ha assunto, da anni, i limiti e gli aspetti propri di una crisi strutturale, in ragione sia del ricorso sempre più diffuso alla legislazione penale con i problemi che non da oggi motivano una riforma del codice penale, sia dell'assenza da oltre quindici anni di provvedimenti di amnistia e di indulto resi impossibili dalla riforma costituzionale che ha elevato a due terzi dei componenti di ciascuna Camera la maggioranza necessaria alla loro deliberazione.
È opinione, costantemente motivata nel corso di questi anni dal proponente, così come dalle tesi di molti costituzionalisti, di esponenti della magistratura e del diritto, nonché di operatori e di associazioni che lavorano nel sistema penitenziario, che una nuova riforma costituzionale dell'articolo 79, tale dunque da incidere sul quorum deliberativo, costituisca la premessa indispensabile a un effettivo e non rituale confronto, libero da ogni logica di schieramento, nel merito di possibili provvedimenti di amnistia e indulto. Per tale ragione il presentatore di questa proposta di legge - che prevede la concessione di un'amnistia, con le esclusioni oggettive di cui all'articolo 2, per ogni reato per il quale è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, analogamente a quanto stabilito per l'indulto - cui si associa un'altra proposta di legge (atto Camera n. 663) con la previsione di pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni per l'amnistia e a tre anni per l'indulto - ha presentato, come nella XIV legislatura, una proposta di legge costituzionale (atto Camera n. 38) che prevede la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera ai fini della deliberazione di provvedimenti di amnistia e di indulto.
Fra le proposte di legge che già nella XIII e nella XIV legislatura sono state all'esame - senza esito, analogamente ad altre ipotesi di provvedimenti - del Parlamento, vi sono state quelle elaborate da
«1. Nella cultura penalistica e in quella politica da tempo è condivisa una valutazione fortemente negativa nei confronti dei provvedimenti indulgenziali. In buona sostanza lo sfavore nei confronti delle leggi d'amnistia e di indulto - tenendo criticamente conto delle passate quanto numerose esperienze - si fonda su un giudizio di fondo difficilmente contestabile: attraverso detti provvedimenti "eccezionali" non si dà alcuna soluzione ai problemi critici del sistema penale-penitenziario italiano (gli effetti deflativi dei provvedimenti di clemenza sono stati mediamente assorbiti nell'arco medio di due anni) e nel contempo si sospenderebbe momentaneamente la tensione verso una soluzione strutturale e "fisiologica" ai problemi della crisi della giustizia penale che deve, invece, essere perseguita in una radicale riforma del sistema penale stesso.
Se questo giudizio di fondo è astrattamente condivisibile, assai meno lo è con riferimento in concreto alla situazione del nostro Paese. A chi presta uno sguardo meno svagato e superficiale alle politiche penali nel lungo periodo - dallo Stato post-unitario ad oggi - si avvede infatti che sempre e costantemente si è fatto ricorso ai provvedimenti di clemenza come risorsa decisiva per il governo della penalità entro i limiti di volta in volta posti dalle necessità di compatibilità sistemica. Pertanto niente affatto politica di eccezione, ma scelta costante ed "ordinaria" volta ad operare momentanei ma necessari riequilibri tra input ed output del sistema penale. Ed infatti è bastato che il sistema della politica si astenesse dall'utilizzare questo mezzo, che in un solo decennio, questo ultimo, la popolazione detenuta raddoppiasse e il sistema processuale-penale pericolosamente si avvicinasse ad uno stato di assoluta paralisi.
L'esperienza comparata ci insegna che in quasi tutte le realtà occidentali moderne, i sistemi di giustizia penale - in quanto dinamicizzati al loro interno da logiche di autoreferenzialità - corrono il rischio di "uscire di controllo", per la loro naturale tendenza a favorire una crescita esponenziale di domande di giustizia a cui nessun incremento di risorse sarà mai in grado di dare risposta. Ed è per questo che, in altri Paesi e in altri contesti culturali, aggiustamenti e riequilibri vengono "fisiologicamente" implementati all'interno del sistema di giustizia penale stesso: si pensi alla valvola di sicurezza data dalla facoltatività dell'azione penale ovvero alla larga "negoziabilità" della pena e del processo.
Orbene: se contingenze politiche particolarmente avvertite e sofferte impediscono di adottare queste "tecniche" di controllo della "produttività", giocoforza il sistema della politica sarà chiamato permanentemente ad "interferire" dall'esterno sul sistema della giustizia penale per determinare, sia pure contingentemente, nuovi livelli di compatibilità tra risorse e funzioni. E sotto questo punto di vista, l'intervento del sistema politico è non solo utile, ma doveroso.
Doveroso e non indebito, se non altro perché se la politica non si assumesse questo diritto di interferire dall'"esterno", il sistema della giustizia penale "naturalmente" sarebbe costretto ad adottare soluzioni di compensazione "interne" offerte appunto dalla sua progressiva inefficacia: la prescrizione - ovvero il negare giustizia per decorso del tempo - di fatto opererebbe inesorabilmente, ma con un esito pericolosamente delegittimante per il sistema della giustizia stesso. Come ognuno ben sa, la giustizia negata per prescrizione ulteriormente accentua i criteri di selettività della giustizia penale, favorendo prevalentemente coloro che possono economicamente e culturalmente "resistere" ai tempi lunghi del processo. Per cui la recuperata efficacia del sistema criminale
2. Alla emergenza del sistema giustizia si accompagna e si somma quella del sottosistema carcerario. Come sempre su questo delicato tema si rischia di parlare tra il patetico, i buoni sentimenti e l'ovvio. Qualche volta anche con indifferenza. In estrema sintesi: la situazione è effettivamente drammatica. Drammatica in primo luogo per i detenuti. Ma drammatica anche per chi professionalmente opera in carcere. I termini di questa drammaticità possono essere sintetizzati in una sola parola, inelegante quanto emotivamente neutra: sovraffollamento. Ma solo chi conosce la realtà del carcere sa cosa cela questo termine.
Si dirà che da che esiste il carcere e non solo in Italia, sempre si è sofferto di questo male. È vero, ma oggi il sovraffollamento non indica purtroppo una sofferenza che ci si possa illudere di sanare naturaliter in tempi brevi. L'attuale sovraffollamento è infatti originato da un processo significativo di nuova ri-carcerizzazione iniziato a metà degli anni novanta che con ogni probabilità si dispiegherà su un arco di tempo medio-lungo.
All'inizio della precedente legislatura la presenza media dei detenuti è stata superiore alle 57.000 unità e in questi ultimi anni è ulteriormente cresciuta. Una tendenza che si è consolidata e che, anche per alcuni provvedimenti approvati nella XIV legislatura, si è ulteriormente accentuata e aggravata. Se così purtroppo è, temiamo che non sarà nell'immediato futuro possibile governare il carcere nel rispetto dei diritti dei detenuti e inoltre che la qualità dell'impegno professionale degli operatori penitenziari dovrà essere ulteriormente ridotta. Per altro - se mai si volesse rispondere al problema attraverso un programma di nuova edilizia penitenziaria - si deve tenere conto che per edificare e mettere in funzione un nuovo carcere necessitano mediamente più di dieci anni.
Il sistema politico non può quindi chiamarsi fuori da chi l'interroga su come garantire la legalità e il rispetto dei diritti umani in carcere, già da oggi. Nell'immediato non esiste altra alternativa che deflazionare per forza di legge il carcere. Il costo di un provvedimento legislativo deflativo è oggi prevalentemente politico. La classe politica si avvede che a questa decisione dovrà prima o poi arrivare, ma teme di pagare un prezzo eccessivamente alto sul piano del consenso sociale e quindi politico. Da un lato, inutile nascondercelo, c'è il timore che attraverso un provvedimento clemenziale di fatto si operi nel senso di un colpo di spugna rispetto ai reati di Tangentopoli (senza però riflettere che il destino di questi - vale a dire la prescrizione - è oramai segnato); dall'altro lato si paventa che l'opinione pubblica oggi particolarmente sensibile ai problemi di sicurezza dalla criminalità predatoria e di strada, intenda ogni provvedimento clemenziale come un pericoloso arretramento in tema di difesa sociale (senza poi riflettere che, trattandosi in questo caso prevalentemente di micro-criminalità, la risposta sanzionatoria e detentiva sarebbe comunque di breve periodo).
È certo comunque che questi timori - ove anche in parte fondati - rischiano nella presente congiuntura di determinare una situazione di stallo nell'iniziativa politica. Come dire: tutti alla finestra per vedere chi fa la prima mossa, con il rischio effettivo che nessuno la faccia. Ed è per questo motivo che - in ragione solamente delle nostre competenze professionali e della nostra sensibilità nei confronti della tutela della società e dei diritti dei detenuti - confidiamo di potere modestamente contribuire in un senso positivo ad affrontare l'attuale situazione di crisi, avanzando una proposta realistica. Si tratta solamente di una "modesta proposta" per invitare chi ha responsabilità di governo e politica prendere posizione. E per fare ciò, ci è parso utile offrire una traccia tecnica che mentre recepisce e tiene nel dovuto conto ad esempio le proposte di legge recentemente avanzate da alcuni parlamentari, a nostro avviso sia in grado di segnare i confini all'interno dei quali è ragionevole sperare in una possibile mediazione politica.
3. Poche parole infine di commento all'articolato normativo che segue, capace di indicarne sinteticamente la "filosofia".
Riteniamo che lo spazio di decisione politica nei confronti di un provvedimento di indulto e di amnistia si dispieghi oggi tra quello segnato da due limiti, che abbiamo voluto tracciare nelle due ipotesi estreme: un'amnistia ampia per i reati sanzionati fino a cinque anni, ma prudentemente condizionata per alcune tipologie di reato o d'autore e una più contenuta - di soli tre anni - ma incondizionata».
La presente proposta di legge ha per oggetto l'ipotesi di amnistia incondizionata ma relativa alle tipologie di reato con pene fino a tre anni, mentre quella più ampia ma condizionata è materia di un'altra e contestuale proposta di legge (atto Camera n. 663).
Secondo quanto previsto dall'articolo 1 è concessa amnistia per ogni reato per il quale la legge stabilisce una pena non superiore a tre anni, ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta a quella detentiva, oltre ad una tassativa serie di reati a prescindere dalla pena edittale massima prevista. Nell'indicare questi ultimi, si è da un lato tenuto conto, riportandoli, dei reati già contemplati dalla precedente legislazione in materia di indulto ed amnistia del 1990 (decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1990 e decreto del Presidente della Repubblica n. 75 del 1990) aggiungendone altri, quali la ricettazione (articolo 648, secondo comma, del codice penale) e i reati connessi all'offerta di stupefacenti previsti dai commi 4 e 5 dell'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, con la sola esclusione delle condotte di produzione, fabbricazione, estrazione e raffinazione di dette sostanze.
In ragione dei termini assai ampi - anche da un punto di vista del presumibile effetto deflativo - dei termini di concessione dell'amnistia, si è ritenuto di essere particolarmente severi nell'indicazione di alcune esclusioni oggettive al beneficio. In particolare, oltre a quelle di norma ricorrenti nei precedenti provvedimenti clemenziali (quali i reati commessi in occasione di calamità naturali, l'evasione limitatamente alle ipotesi aggravate di cui al secondo comma dell'articolo 385 del codice penale, il commercio e la somministrazione di farmaci guasti ovvero di sostanze alimentari nocive ovvero infine dei delitti contro la salute pubblica) si è ritenuto opportuno includere anche una serie di condotte criminose o direttamente offensive di interessi collettivi e diffusi (ad esempio: omicidio e lesioni personali colpose per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ovvero condotte penalmente rilevanti in tema di inquinamento delle acque, produzione di sostanze pericolose, nonché per violazione delle disposizioni contro l'immigrazione clandestina previste dall'articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998; eccetera) ovvero oggi avvertite in termini di particolare odiosità, come alcuni delitti a sfondo sessuale.
Per il resto - sia per quanto concerne il computo della pena per l'applicazione dell'amnistia (articolo 3) sia per quanto concerne la rinunciabilità all'amnistia (articolo 4) - si è seguito lo schema tecnico già sperimentato nei precedenti provvedimenti clemenziali.
Infine l'indulto: esso è concesso nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive ed è revocato se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti una condanna detentiva superiore a due anni, così come il precedente provvedimento di indulto del 1990 (decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1990).
Il tema carcere e le sue problematiche complesse rinviano, e da lungo tempo, ad interventi legislativi e ad iniziative politiche e sociali che non attribuiscono a un provvedimento di amnistia e di indulto un valore e un'efficacia più ampi della sua natura emergenziale. Né alcuno fra i firmatari le diverse proposte di legge in Parlamento, né gli autori del documento